Ernst Knam "Quella volta a Singapore con il dolce che puzzava"

Ci sono stati gli anni di lavoro, fianco a fianco, il maestro con l'allievo. Ma c'era poi un'amicizia, cresciuta con il tempo. «Ha voluto morire nel giorno del mio compleanno, il 26 dicembre ci legherà per sempre» dice Ernst Knam. Dall'Antines, in Alta Badia, il re del cioccolato apre la credenza dei ricordi. Con un particolare che fa capire quanto i due fossero legati. «Da dieci giorni lo sognavo, mi svegliavo e dicevo a mia moglie "ero con Gualtiero". Non mi era mai successo. Un segnale. E ce n'è un altro. Proprio due giorni fa Alessandra aveva ritrovato un suo libro con una dedica. Mi sento vuoto, è un grandissimo buco da colmare».

C'è un'immagine che fissa il vostro rapporto: lei che celebra i suoi 25 anni di attività milanese con il maestro Marchesi nella scuola di cucina di via Sciesa.

«È stata una delle sue ultime uscite. Quando lo chiamai non esitò un

momento: per te Ernst vengo sicuro».

E quando ha visto quello che aveva creato che cosa disse?

«Ernst, qualcosa hai imparato. Era orgoglioso. Mi ha visto sempre come un figlio, io avevo le chiavi del ristorante, ero il primo ad arrivare e l'ultimo a uscire, ero sempre con lui. E a lui non ho mai detto un no».

Il ristorante era in Bonvesin de la Riva.

«Tre stelle Michelin, dall'89 al ‘92.

In brigata con me Carlo Cracco, Pietro Leemann, Davide Oldani».

E tutti avete avuto successo.

Merito suo?

«Beh, avevamo già fatto esperienze in giro per il mondo ma lui ci ha fatto capire quale era la strada. A me ha dato l'ultima limatina».

E quale era la strada?

«Andare alla ricerca dell'essenziale, meno è meglio è, diceva sempre. Ci invitava a togliere per creare. Era avanti, era la modernità forse per questo in Italia non è stato apprezzato subito come invece all'estero».

In cucina era un duro?

«L'ambiente era bellissimo, io non mi ricordo di grandi urlate, almeno con me. Ci si confrontava, sapeva ascoltare. Lui era un cuoco non un pasticcere e per questo mi ha lasciato grande libertà. Gli bastavano poche parole per farsi capire».

Via, andiamo di aneddoti.

Qual è il primo che le viene in mente?

«Singapore, 1990. Aveva aperto per quattro settimane un ristorante Gualtiero Marchesi e mi aveva portato. Io mi inventai un soufflè con il durian, un frutto grande, costoso, delicato ma che puzza tremendamente. Io preparo ma quando apro il forno esce un odore pazzesco. Gualtiero, che era dalla parte opposta, fece una corsa come Usain Bolt, arrivò come una furia: "Ma cos'è che fa sta puzza, via, via…". Mi spaventai. Ma ogni volta che lo ricordavamo si rideva».

Un altro.

«Sempre nel ‘90, inverno. C'era un concorso di pasticceria importantissimo a Lucerna, lui non voleva ma io mi iscrissi ugualmente. Il dolce era una charlotte di riso al calvados con un vestito di mele. Gualtiero era poi in giuria, trovammo una nevicata pazzesca, lasciammo la macchina per prendere il treno e arrivai in ritardo. Riuscii comunque a fare il dolce, vinsi il primo premio. Al ritorno in Italia mi disse: Ernst, adesso ti faccio fare un bell'articolo».

E come andò?

«Che lui chiamò un fotografo e uscì l'articolo. Con le mie foto ma il dolce era diventato suo...».

Come vorrebbe che fosse ricordato?

«Non come chef ma come artista.

Lui era fuori da ogni schema. Non parlava di cucina ma di arte e la trasmetteva in un piatto».

E Milano invece come dovrebbe ricordarlo?

«Con un museo della cucina. È stato il numero uno, l'innovatore per eccellenza. E magari organizzando una serata con noi allievi».

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"Milano gli dedichi un museo della cucina"

Knam con Marchesi alla festa per i 25 anni di attività milanese. «Lui aveva un sogno, una casa di riposo per cuochi» (foto Basilico)

Carlo Annovazzi